Oltre che di Berardo di Pagliara (monaco benedettino di San Salvatore, poi di San Giovanni in Venere, quindi Vescovo di Teramo dal 1116 al 1122, po Santo Protettore del capoluogo aprutino) e di numerosi e importanti membri della sua famiglia, assai cospicua sotto il Regno normanno, Castelli è patria di numerosi altri uomini illustri.
Fra gli altri vanno ricordati: Antonio Epicuro (1472-1555), poeta, autore di liriche in lingua latina; il Cardinale Silvio Antoniano (1540-1603), precettore di san Carlo Borromeo e autore di un noto trattato Sulla buona educazione dei fanciulli, ancor oggi di grande attualità e interesse pedagogico; Felice Barnabei (1842-1922, archeologo); Bonaventura Celli (1837-1877, Patologo) e Concezio Rosa (1824-1876), archeologo, famoso per le sue scoperte di reperti preistorici in Val Vibrata.
Grande è, inoltre, il numero di ceramisti di eccelso valore artistico.
Nel corso di alcuni scavi venne alla luce la prima strada lastricata di Castelli che, neanche a dirlo, conduceva al Colle dei cavatori, il luogo in cui gli antiche ceramisti castellani estraevano l'argilla per realizzare le loro impareggiabili opere d'arte.
Certamente non si tratta di un caso, ma semmai della conferma che, da sempre, la storia di Castelli e quella delle sue ceramiche viaggiano di pari passo o, meglio, sono indissolubilmente legate.
Celebre in tutto il mondo, l'arte castellana della ceramica risale alla seconda metà del secolo XIII: più tardi, nel 1434, si ha notizia di Nardo di Castelli, mentre nel medesimo secolo erano a capo della produzione locale Renzo di Lanciano e suo figlio Polidoro, fondatori di una "scuola" da cui, fra gli altri, uscirono i Pompei, cioè Tito, Orazio il Vecchio e Orazio il Giovane, quest'ultimo artista di grande valore.
Dallo stile faentino, allora imperante, si affrancò Antonio Lolli, in questo seguito dalla famiglio Grue, gloria della ceramica castellana.
A Carlantonio Grue (1655-1723), figlio del capostipite Francesco, si devono lo stile e la tavolozza caratteristici della famiglia: tra i suoi figli Francescantonio (1686-1746) raggiunse la maggior fama.
Ceramisti insigni furono anche Fedele Cappelletti (nato nel 1682, nipote e allievo di Carlantonio Grue), Giulio Cristofari (sec. XVII, famoso per aver costruito un organo con canne in maiolica e tastiere in ceramica, perfettamente funzionante); Carmine Gentile (nato nel 1679); Pierantonio Tiberi (nato nel 1716) e Gesualdo Fuina (1755-1822).
Quando altrove l'arte maiolicara era già in decadenza, qui essa giungeva al massimo sviluppo: a metà del '700 esistevano ben trentacinque fabbriche, la cui produzione veniva principalmente venduta, con notevoli profitti, alla fiere di Senigallia, di Fermo, di Loreto.
Dalla seconda metà del '700 la produzione decadde, per varie ragioni (che suscitarono l'interesse degli economisti e politici, fra i quali Melchiorre Delfico), ma è sempre sopravvissuta con grande dignità e qualità, oggi incrementata con i giovani allievi dell'Istituto Statale d'Arte Ceramica e favorita da una rinnovata ricerca della qualità da parte di un pubblico sempre più vasto ed esigente, oltre che da una sempre più massiccia presenza di turisti.
Nel nostro secolo, prima della seconda guerra mondiale, interessante anche se di breve durata fu il tentativo dalla Ditta S.I.M.A.C. di introdurre a Castelli l'arte della porcellana: tentativo peraltro condotto con grande esperienza scientifica e avanzate attrezzature tecnologiche, pur sempre accompagnate dalla tradizionale capacità artistica.
Dalle fabbriche castellane uscirono, e tuttora escono, oggetti decorativi e d'uso comune tra i più svariati.
I colori anticamente usati sono il giallo, il verde e l'azzurro: manca completamente il rosso, sostituito dall'arancione.
I soggetti trattati sono anch'essi svariatissimi, e spesso traevano ispirazione o modello dai quadri e dalle stampe, anche degli artisti meno noti.
Le ceramiche di Castelli sono sparse nelle raccolte pubbliche e private di tutto il mondo, ove sono conosciute e ricercate.